domenica 22 marzo 2015

STRAGE DI TUNISI: I MEDIA E LA PAURA A (TELE) COMAN


La tragedia non è la strage di Tunisi. La tragedia è che per tanti italiani, neppure sfiorati da quella violenza, sia una tragedia. E che sia una tragedia solo perché l’hanno detto i media e l’ha ripetuto in TV il loro primo ministro dopo aver indossato la maschera di gravità richiesta dalle circostanze, per poi passare ad altro. Lo stesso in altri paesi.

La tragedia è la facilità con cui i media condizionano non solo le idee ma anche gli umori della gente: e nessuno sembra preoccupato della quantità di rabbia o lacrime che ogni anno si sprecano, a volte in buona fede, per eventi lontani che vengono dimenticati alcuni giorni dopo, a conferma del fatto che fossero solo virtuali e non ci avessero toccato personalmente.
La tragedia è che la psiche umana sembra ancora incapace di relativizzare le notizie amplificate dai giornali e dai telegiornali. Goebbels diceva che una menzogna ripetuta mille volte diventa una verità; oggi è molto peggio, qualunque cosa, vera o falsa o incerta che sia, mostrata mille volte in televisione diventa ugualmente reale, ugualmente personale, e così non è solo una specifica verità a scomparire ma l’idea stessa di verità, di esperienza.
La tragedia è non accorgersi che questi continui traumi virtuali, a telecomando, un effetto ce l’hanno: quello di assorbire quasi interamente la nostra carica di compassione, impedendoci di usarla in vicende molto più vicine e concrete, rispetto alle quali la nostra partecipazione potrebbe produrre qualche risultato. L’empatia non è illimitata: come sa bene chi lavora in un ospedale o racconta chi è stato in guerra, oltre un certo limite subentra, a protezione della nostra umanità, un blocco emotivo e mentale.
Da sempre i regimi che non vogliono che la gente presti troppa attenzione alla sua condizione o a quella della sua comunità la distraggono con eventi esterni, che hanno l’ulteriore vantaggio di poter essere dosati a piacimento. I media del neocapitalismo globalista hanno portato questa tecnica alla perfezione: che si impicchi un piccolo imprenditore o commerciante rovinato dalla concorrenza di multinazionali quotate a Wall Street ma con fabbriche in Cina, catene di negozi ovunque e domicilio fiscale in Irlanda non importa neppure agli altri piccoli imprenditori della sua città, alcuni dei quali faranno la stessa fine ma che ora sembrano spaventati molto di più dall’ISIS che dal TTIP. Perché di ISIS e non di TTIP parlano i media.

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