sabato 13 giugno 2015

Cardinali milionari: pubblicato il dossier censurato dal Vaticano!!!

Vaticash, clero e ricchezza: ecco i cardinali milionari


Appartamenti, edifici, terreni: in un libro, le fortune di tutti i cardinali, dati aggiornati ad aprile 2014.

San Pietro non aveva conto in banca” ha detto papa Francesco I di recente, il cui nome certo esprime un’intenzione quanto meno a ispirarsi alla povertà, a quella “chiesa dei poveri” tanto cara al fondatore dell’ordine mendicante per eccellenza.
Un conto in banca sembrano averlo però molti sotto la mano di Santa romana Chiesa. E anche bello cospicuo, senza contare le proprietà e i beni. Precisiamo, moltissimi ottenuti in modo assolutamente lecito, per eredità familiari o lasciti testamentari, molti dei quali raccontati dal giornalista Mario Guarino, su Vaticash, il suo nuovo libro di inchiesta edito da edizioni Koinè.

Condensati in queste pagine vi sono mesi di ricerche catastali, sui patrimoni personali di oltre cento alti prelati, dati aggiornati all’aprile 2014, tutti dichiarati regolarmente al fisco. Insomma, nessuno scandalo giudiziario, nessun libro denuncia, ma una riflessione su ricchezza e povertà religiosa, con frequenti rimandi ai vangeli e citazioni di Bergoglio.
Tra i nomi che compaiono nel libro, molto ricco e ben documentato, compare anche Monsignor Liberio Andreatta, il responsabile dell’Opera Romana Pellegrinaggi, con 38 fogli di visure immobiliari al catasto, terreni coltivati tra la Maremma e le campagne di Treviso, un edificio di 1432 metri quadrati e tre immobili in usufrutto e una serie di fabbricati rurali tra Fibbianello e Semproniano. Oppure l’arcivescovo di Palermo, cardinale Paolo Romeo, con 8 appartamenti e sei monolocali monolocali, 22 vani abitativi, edifici residenziali, terreni coltivati, tra cui un vastissimo agrumeto.
L’arcivescovo ciellino Ettore Balestrero, classe ’66, pur ricoprendo il ruolo di nunzio apostolico in Colombia., conserva numerose proprietà in Italia, tra cui una residenza di dieci vani a Roma, in via Lucio Afranio, altre quattro unità immobiliari a Genova e un appartamento in nuda proprietà a Stazzano, nell’Alessandrino, dove risulta anche possessore di molti terreni agricoli e boschi da taglio.
Passando per il vescovo Giorgio Corbellini, comproprietario di circa 500 ettari di boschi, due fabbricati e altre centinaia di ettari di pascoli e terreni seminativi sulle colline di Bettola (Piacenza).
Il cardinale Domenico Calcagno presidente dell’Apsa, intestatario di un appartamento di 6,5 vani in via della Stazione di San Pietro e altri quattro edifici residenziali nel suo paese natale.Inoltre, insieme a due parenti, è comproprietario di oltre 70 ettari di campi e vigneti in Piemonte.
E ancora gli appartamenti di Camillo Ruini, diCarlo Maria Viganò e, per terminare in bellezza, un caso a dir poco “singolare”: quello di don Agostino Coppola, ex parroco di Carini, arrestato e condannato perché complice del clan mafioso dei corleonesi. Fu lo stesso che sposò in segretoTotò Riina quando era in latitanza. Smessi i panni da uomo di Chiesa, a don Coppola vennero sequestrati tutti i beni scoperti dai giudici di Palermo. Eppure, ad oggi, misteriosamente l’ex prete risulta proprietario di 83 ettari di uliveti e 14 di agrumeti a Carini. A nome del defunto e dei suoi familiari è registrato pure il possesso perpetuo (con l’antico sistema dell’enfiteusi) di altri 49 ettari di campagne e due fabbricati a Partinico.
Un viaggio attraverso nomi più o meno noti, che di certo riserverà non poche sorprese.

martedì 9 giugno 2015

L’Italia è in guerra nel Baltico! Stanno violando l’art. 11 della Costituzione, ma né il Presidente Mattarella né i nostri politici dicono niente. Ma soprattutto nessuno sa niente perchè i media di regime non ne parlano !!


Pochi in Italia leggono determinate riviste tecniche, anzi militari. Peccato. Il 28 dicembre 2014, in ossequio ai voleri di Washington platelmente ossequiati dal primo ministro pro tempore Matteo Renzi (uno non votato dal popolo sovrano ma imposto dal Napolitano), 4 cacciabombardieri Typhoon italiani, armati con bombe a caduta libera, missili aria-aria e cannoni mauser bk 27, sono atterrati in Lituania, a Siauliai. I velivoli da guerra tricolore provengono dal 4° stormo di Grosseto, dal 36° di Gioia del Colle e dal 37° di Trapani, affiancati da personale del comando logistico e del Cofa (Comando operativo delle forze aeree). Fatto ancora più inquietante è che il colonnello Marco Bertoli, comandante del distaccamento italiano di ben 96 militari dell’arma azzurra subordinati alla NATO, ha dichiarato alla rivista Aeronautica & Difesa (numero 341- marzo 2015, pagina 44):
«Cambieremo i piloti a rotazione ogni mese scegliendoli tra i più esperti ma anche tra i giovani. L’unica condizione importante è che siano tutti combat ready, per essere in grado di svolgere la loro missione».
Ora i militari italiani, senza che il Parlamento abbia autorizzato una missione di guerra non annunciata ufficialmente, sono a capo, per volere della NATO, del Baltic Air Policing (polizia aerea sul Baltico), dopo l’acuirsi delle tensioni in Ucraina fomentate dal Pentagono e dalla Central Intelligence Agency. Per la cronaca, la Russia non è ostile all’Italia e non ha dichiarato guerra al nostro Paese.
I vetusti Typhoon (velocità massima Mach 2) risalenti al 1994 fronteggiano i Mig 31, caccia intercettori, ossia da combattimento che sfrecciano a Mach 2,8 e oltre.
Come mai il novello inquilino del Quirinale, Sergio Mattarella, a capo delle forze armate nostrane – con un passato di ministro della difesa (silente sulla vicenda dell’uranio impoverito targato a stelle e strisce, che ha fatto ammalare a morire tanti soldati italiani) durante la guerra scatenata dal patto atlantico contro la Jugoslavia, e che ha visto la partecipazione diretta nei bombardamenti delle forze armate tricolori – tace, dinanzi alla palese violazione dell’articolo 11 della Costituzione? Oltretutto, l’Italia è un obiettivo sensibile in caso di conflitto bellico con la Russia, poiché in violazione del trattato di non proliferazione nucleare (TNP) sottoscritto anche da Italia e Stati Uniti d’America nel 1968, e ancora una volta senza alcuna autorizzazione del Parlamento nostrano, ospita a Ghedi ed Aviano, un arsenale di ordigni nucleari modello b61, di proprietà United States of America. Chi paga e quanto costa esportare la guerra fuori dai propri confini nazionali? Ovviamente, i soldoni sono sganciati dalla collettività; vale a dire che a pagare sono sempre quei fessi dei contribuenti italidioti, mentre l’eterodiretto governicchio in carica ha sottratto risorse per ben 4 miliardi di euro alla sanità pubblica mentre le scuole pubbliche cadono a pezzi, nonostante le promesse nel 2009 della Gelmini, sotto il governo del piduista Berlusconi tessera gelliana numero 1816 (come ha stabilito la Corte d’Appello di Venezia con sentenza poi passata in giudicato).
Non a caso, il 20 gennaio 2015, non secoli fa, la commissione difesa della Camera, conseguente a quello positivo del Senato risalente allo scorso dicembre, ha espresso parere favorevole ad un finanziamento di ben 5,4 miliardi di euro per fornire alla Marina militare nuove unità dual use (ovvero anche per fare la guerra). Infatti, i pattugliatori polivalenti d’altura sono stati concepiti per assolvere sia compiti militari che di sorveglianza delle aree marittime. L’unità anfibia multiruolo è in grado di soddisfare un ampio spettro di missioni: da quelle belliche alle operazioni nazionali e internazionali. Il tutto alla voce della legge di stabilità 2014 varata dall’esecutivo di Matteo Renzi. A proposito: date un’occhiata alla direttiva di guerra emanata e, dunque, in vigore, dal ministro della Difesa italiano.

lunedì 8 giugno 2015

debito pubblico? E’ una truffa! Sapete che la BCE potrebbe cancellarlo in 5 minuti e far ripartire l’economia? Ecco come è possibile…



La vera rivoluzione: stampare euro per cancellare il debito

Mettiamola in questi termini: la Bce stampa più moneta per permettere alle Banche centrali nazionali di comprare titoli di Stato, ovvero debito pubblico, con lo scopo dichiarato di rilanciare l’economia (crescita del Pil) e lo scopo effettivo immediato di sgravare i bilanci delle banche private.
In termini economici, il Quantitative Easing è un’aberrazione in quanto viola le leggi di mercato basate sulla domanda e sull’offerta. Un’aberrazione che però lascia intatta la vera catena che imprigiona le asfittiche economie occidentali: quella del debito.
Mi spiego: se la Ue e la Bce e la volessero davvero rilanciare l’economia, dovrebbero avere il coraggio di andare fino in fondo ovveronon di stampare moneta per comprare debito ma di stampare moneta per CANCELLARE IL DEBITO, accompagnando questo passo da misure altrettanto rivoluzionarie e benefiche come la simultanea riduzione delle imposte sia sulle imprese che sulle persone fisiche e magari varando investimenti infrastrutturali.
Pensateci bene: oggi l’Italia è già in avanzo primario ovvero lo Stato spende meno di quanto incassa, ma il debito pubblico continua a salire perché la spesa pubblica è gravata dagli interessi sul debito. Detto in altro termini: l’Italia è in una spirale da cui difficilmente uscirà, per quanti sforzi faccia. Ma questo né la Ue, né la Bce, né il Fmi lo ammetteranno mai; anzi, continuano ad alimentare la retorica delle riforme ovviamente strutturali.
Logica vorrebbe, invece, che l’aberrazione del Quantitative easing venisse usata non per continuare ad alimentare il circolo vizioso del debito, ma per spezzarlo con una misura una tantum, eccezionale, irripetibile ma straordinariamente virtuosa. Chiamiamolo Il giubileo del debito.

Ipotizzate quesito scenario: taglio lineare di un terzo del debito pubblico di ogni Paese europeo, simultanea riduzione delle imposte sulle persone fisiche di 10 punti percentuali e dimezzamento di quelle sulle società per un periodo di almeno 5 anni. Il momento sarebbe più che mai propizio, considerando che i tassi di interesse sono prossimi allo zero.
Basterebbe una semplice operazione contabile creando denaro dal nulla (ovvero con un semplice click, come peraltro si apprestano già a fare), per togliere definitivamente dal mercato una parte del debito pubblico, studiando ovviamente le condizioni appropriate (ad esempio solo sui titoli in scadenza).
Risultato: un boom economico paragonabile agli effetti di un nuovo Piano Marshall. Starebbero meglio tutti: i consumatori che si troverebbero con più liquidità in tasca, le aziende che sarebbero fortemente incentivate a investire nella zona Ue, lo Stato che troverebbe le risorse sia per le Grandi Opere che per altre riforme. Le stesse banche private che non sarebbero più costrette a comprare titoli di Stato pubblici e vedrebbero diminuire drasticamente le sofferenze bancarie nel giro di pochi mesi proprio grazie alla ripresa dell’economia reale.
La macchina, insomma, si rimetterebbe in moto.
A “rimetterci” sarebbero solo la Bce, la Commissione europea e analoghe istituzioni transnazionali il cui potere implicito di condizionamento si ridurrebbe drasticamente.
Meno debito, meno vincoli, più libertà, più mercato. Il problema è tutto qui.