lunedì 23 marzo 2015

L’uomo di Lupi e quei tre milioni finiti in Svizzera



LA CRICCA DELLE INFRASTRUTTURE.

La banca svizzera e il monsignore sotto casa. Nella famiglia di Stefano Perotti, di soldi ne giravano davvero parecchi, e si tentava di salvare il patrimonio sia dagli accertamenti fiscali, sia dalla seconda moglie del capostipite, il signor Massimo. Spesso i soldi partivano per la Svizzera, e per Lugano partiva pure monsignor Francesco Gioia, ormai noto per il suo attivismo nel trovare voti per l’ex ministro Maurizio Lupi e l’assunzione del nipote alla “cricca” che governava il ministero delle infrastrutture.
QUANDO la famiglia Perotti decide d’acquistare una casa a Milano in via del Gesù, le operazioni vengono intercettate telefonicamente dal Ros dei carabinieri e, nel frattempo, finiscono nel mirino di Bankitalia che, nel 2014, le bolla come “sospetto riciclaggio”.
C’è anche questo, nel meccanismo che gravitava intorno alle Grandi Opere, dove Perotti e sua moglie Christin Mor, accusati di corruzione, secondo l’accusa rappresentano un ingranaggio fondamentale. Insieme avevano messo su una società che fatturava parecchio: nel solo 2012, per esempio, segnala Bankitalia, la ingnegneria Spm fattura ben 12 milioni di euro. Gli atti d’inchiesta – sempre secondo l’accusa – dimostrano che Perotti era il braccio destro di Ercole Incalza, a capo della struttura ministeriale che ha governato le Grandi opere. E la sua società s’è aggiudicata la direzione dei lavori in moltissimi lotti, governando, a sua volta, appalti per 25 miliardi di euro. La coppia non sa, però, che da tempo il Ros segue ogni loro spostamento: “Il 30 dicembre 2013 – annotano gli investigatori – Stefano Perotti, insieme alla moglie Christine Mor, si sono recati in Svizzera per compiere delle attività finanziarie strettamente collegate all’acquisto di un immobile a Milano… Il 24 gennaio 2014 Perotti racconta all’amico Riccardo che ha appena acquistato un casa a Milano in via del Gesù, investendo delle disponibilità finanziarie custodite all’estero.
DUE GIORNI dopo chiede al suo commercialista se, per acquistare l’immobile, è praticabile l’ipotesi di utilizzare una società svizzera. Un mese dopo emerge che l’acquisto è stato effettuato da una società denominata Senato e – scrive il Ros – il capitale di questa società è ripartito tra i fratelli Luca e Francesca Patanè”. A giudicare dalle intercettazioni, però, il tentativo è di far apparire l’acquisto come una compavendita di quote societarie e non immobiliari: “Noi avremo il rischio di un accertamento di un atto elusivo – dice a Perotti un loro consulente – in quanto considerata compravendita immobiliare e non compravendita di quote . . . per cui se evitiamo di … infarcirlo con la mediazione di un’immobiliare … di una agenzia di immobili sarebbe meglio… insomma visto che noi quella mattina lì la paghiamo se lei si fa confermare dai Patané che la pagano anche loro … eviterei di mettere … il loro intervento formale”.
Il Ros a giugno scopre che l’acquisto, da parte della Spm, delle quote della Senato srl è “ascritta” da Bankitalia alla categoria “riciclaggio” con valutazione “alto” del rischio. Vediamo cos’è accaduto: Christina Mor – segnala Bankitalia – il 18 aprile 2013 dispone un bonifico sulla Svizzera di 4,4 milioni ,in favore di se stessa, con causale “approvvigionamento acquisto immobile”. Successivamente, però, dalla Svizzera pervengono tre bonifici, per 3.18 milioni, per i quali la Mor “ha precisato che il progettato acquisto immobiliare non era andato a buon fine e che i fondi pervenuti sarebbero stati destinati a un acquisto immobiliare in Italia”. Il 14 febbraio 2014, la Mor dispone un bonifico di 2,7 milioni in favore della sua società la Ingegneria Spv, fornendo relativi allegati, dalla quale si evince che ha convenuto l’acquisto, per un controvalore di 2,7 milioni, delle quote della società Senato Srl di Milano, e che la stessa risulta proprietaria di un appartamento sito in Milano, via del Gesù 19. Sollecitata più volte – conclude Bankitalia – la cliente non ha fornito alcuna documentazione a supporto della causale”.
IL MONSIGNORE entra in scena, invece, quando Stefano Perotti vuole evitare che suo padre, nel ripartire i suoi beni in famiglia, doni una fetta importante alla sua ex moglie. A quanto pare suo padre si sta facendo “sfilare” dalla moglie il 40 per cento delle proprietà. Ma c’è un modo per fregare la donna: “L’unico blitz che sarebbe da fare è fargli sparire tutto…cioè un’alternativa potrebbe essere quella di dire ‘intesti la società ai figli e l’hai fregata perché non entra nell’asse ereditario”. Ma è monsignor Gioia che deve parlare con il padre e suggerigli l’operazione: “Se intestasse… ai futuri eredi la società… forse risolverebbe il problema di dover passare attraverso un accordo con lei…mettigliela come un ragionamento tuo…”. Gioia parte e, dalle sue parole al telefono, pare il discorso con il padre di Stefano abbia raggiunto l’obiettivo: “C’è della gente, non posso parlare… è andato tutto bene però…”.

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